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«Non sarà una possibilità, ma un obbligo». Così Giancarlo Giorgetti ha annunciato in Senato la (sacrosanta) pezza apposta dal governo all’alluvione di debito pubblico — non a caso paragonata dal ministro al disastro del Vajont — con la spalmatura dei crediti d’imposta generati dal bonus edilizio a partire dal 2024: decennale e non più quadriennale, e non opzionale come chiedevano vari emendamenti parlamentari all’ultimo decreto. Inoltre, Giorgetti ha chiarito che non saranno più ammesse deroghe per lo sconto in fattura o la cessione del credito. Ci sarà solo l’emendamento del governo, ha detto, e quelli dei partiti «non saranno presi in considerazione».

Allungamento dei tempi

«Mentre sul no alle deroghe non c’erano molti dubbi, l’allungamento forzato dei tempi di detrazione crea non pochi problemi, anche se solo la lettura del testo dell’emendamento, che dovrebbe essere presentato nel corso del Consiglio dei ministri di venerdì 10, potrà chiarire la portata delle modifiche», ha commentato Gino Pagliuca.
Alla vigilia della presentazione completa della misura c’è però una certa suspense. Perché, per quanto anche il resoconto del Senato parli di «spese sostenute dal periodo d’imposta in corso», tra politici e addetti ai lavori resta il dubbio che l’intervento possa estendersi agli anni precedenti. Agire anche sul passato, infatti, darebbe respiro ai saldi di finanza pubblica di quest’anno, del 2025 e del 2026 e agevolerebbe la prossima manovra autunnale, che già si annuncia tribolata.

Interessi in conflitto

Ma un intervento retroattivo, con tutti i dubbi di costituzionalità che accompagnano sempre misure ispirate a quel criterio, è davvero plausibile?
Il fuoco di sbarramento subito alzato dai settori interessati — banche e imprese edili — farebbe pensare di sì, dato il loro fiuto sensibile ai primi accenni di fumo. «In questa fase complessa è importante dare certezze e rafforzare la fiducia. Interventi retroattivi sul superbonus minerebbero la fiducia di famiglie, imprese e investitori», hanno sentito l’esigenza di chiarire i rappresentanti delle due categorie (Abi e Ance) in una nota congiunta.

L’analisi

Quanto alla plausibilità effettiva di una simile mossa da parte del governo, il Sole 24 Ore l’ha smontata con un’analisi di Salvatore Padula, che invita a «evitare in tutti i modi che la (necessaria) ricerca di soluzioni alla sciagura del superbonus ne determini un’altra altrettanto grave. Anzi, forse ancor più grave». Perché, afferma l’esperto, «una cosa è consentire, a chi ne può avere la necessità, di spalmare in 10 anni la detrazione per superbonus e interventi affini. Altra cosa è stabilire retroattivamente che il credito debba essere obbligatoriamente utilizzato in 10 anni. Allo stesso modo, e con effetti presumibilmente ancora più devastanti, come si può dire oggi a imprese di costruzioni e della filiera edilizia, a banche e altri operatori finanziari — ovvero i soggetti che tramite lo sconto in fattura e la cessione del credito sono diventati via via titolari dei crediti di imposta di chi ha effettuato i lavori di efficientamento energetico (500 mila unità immobiliari) — che dovranno spendere la loro moneta fiscale in 10 anni e non più nei 4 o 5 ora previsti?».
Così, senza nemmeno «scomodare gli evidenti profili di legittimità costituzionale di un intervento del genere», per Padula «il punto è che se si fa venire meno il principio di affidamento, se si calpesta la buona fede di cittadini e imprese, allora si finisce per incrinare il patto sociale che regge tutto. Che cosa garantirebbe che lo stesso metro non possa essere in futuro applicato anche in altri ambiti?».

Effetto valanga

Sono considerazioni di senso immediato e difficilmente attaccabili, che però non attenuano minimamente l’enormità del problema. Che sta nel fatto che questo Paese si è speso l’equivalente dei fondi ottenuti dall’Ue con il Pnrr post Covid per far rifare facciate, casolari e villette ai suoi cittadini più benestanti, e che quando i nostri partner europei mangeranno la foglia non la prenderanno bene. Il che dovrebbe portare tutti i soggetti interessati a rendersi disponibili a «sacrifici» concordati, ma questo può succedere forse nel Paese dei sogni e non in quello dei bonus.
Il discorso della retroattività, poi, è così ampio da avere un suo lato politico per niente simbolico, perché il disastro del Superbonus ha un solo padre confesso, Giuseppe Conte, che però nega e sempre negherà che di disastro si tratti. Giorgetti non perde occasione per dirottare sull’ex premier tutte le responsabilità, fino ad arrivare al paragone col Vajont, con frasi come «quando noi siamo intervenuti a porre una diga a questa cosa la valanga era già partita» e «quando noi siamo arrivati al governo siamo stati avvisati e abbiamo fatto il possibile, ma purtroppo la valanga era già partita».

L’approfondimento di Dataroom

Per questo è molto utile l’indagine sull’origine della valanga fatta da Milena Gabanelli e Francesco Tortora nell’ultimo Dataroom,  che è bella dritta fin dal titolo: «Superbonus da 160 miliardi e conti pubblici allo sfascio: di chi è davvero la colpa». Scrivono i nostri colleghi:

  • «Le richieste di agevolazioni partono lentamente e nel primo anno non superano i 6 miliardi di euro. Ma già a dicembre 2021 schizzano a 16,2 miliardi di euro».
  • «Al governo c’è Mario Draghi (con Giorgetti ministro dello Sviluppo economico, ndr) che impone la modifica della norma sulle verifiche (Decreto antifrode) e con la legge di bilancio 2022 propone di rivedere il provvedimento: il Superbonus ha un costo troppo alto, favorisce i ricchi e ha un effetto distorsivo, a cominciare da un forte aumento dei prezzi dei componenti legati alle ristrutturazioni».
  • «Draghi propone per le case unifamiliari di limitare il bonus ai proprietari con un Isee sotto i 25 mila euro».
  • «I Cinque Stelle, ideatori della misura e principale forza politica a sostegno del governo, fanno muro e minacciano la crisi di governo».
  • «La Lega di Salvini (e di Giorgetti, ndr) si batte perché non sia imposto “nessun tetto Isee per il Superbonus”».
  • «Forza Italia rilancia e chiede che “sia esteso tal quale fino a tutto il 2023”».
  • «Il Pd è favorevole all’incentivo e tenta una mediazione tra premier e Cinque Stelle».
  • «Giorgia Meloni tuona dall’opposizione: “Il Superbonus è uno strumento molto utile per rilanciare l’economia e sostenere un settore in difficoltà, fatto in gran parte da piccole e medie imprese”. Alla fine Draghi cede e il 110% è rifinanziato senza cambiamenti».

Ecco chi diede origine al disastro, chi provò davvero a costruire dighe, chi le sabotò e chi oggi fa finta di nulla.

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10 maggio 2024

 

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